La fuga - Our Secret Escape
- Virginia Barchi
- 9 dic 2015
- Tempo di lettura: 4 min

Era una fuga, una fuga completa, da tutto e da tutti. La ricerca di una pace di cui eravamo state private, o che non eravamo riuscite a raggiungere in quel periodo. Una pace interiore tanto attesa. Laggiù, lì in mezzo, lì dentro, lì fuori, così estraniate dal mondo, l’abbiamo finalmente trovata.
Riservatezza, desiderio di fuggire, realizzato. Silenzio, desiderio di ascoltare solo i propri pensieri, realizzato. Calma, desiderio di entrare in comunicazione col mare, realizzato. Isolamento, desiderio di non avere contatto alcuno con altri esseri umani, realizzato. Esilio volontario, emarginazione completa, da internet, dalle persone, dal rumore, dalla televisione, dalle luci, dalle grida, dalle parole. Siamo fuggite da ciò che di materiale esiste, siamo fuggite dalle parole, anche dalle nostre. Siamo riuscite a restare in silenzio, cosa alquanto difficile per me. Siamo riuscite a meditare al tramonto, a leggere un libro letteralmente tutto d’un fiato, senza distrazioni, senza messaggi, senza interferenza alcuna. Siamo riuscite nell’intento prefissato di fuggire. A molti può sembrare che un’esperienza del genere non coincida con il concetto comune di vacanza. Eppure vi assicuro che una sensazione di benessere mi ha pervasa completamente, ed è rimasta, è stato unico. Il sole portava con sé un senso di beatitudine, il mare era così blu e il tramonto così rosso.

Il nostro nascondiglio segreto, la nostra fuga segreta, è così che l’ho chiamata, da allora. L’ultima isola, la più lontana dalla costa croata, un’isola con solo scogli, ed un faro. E noi nel faro, e una notte non si riusciva a dormire. E non era mica per la musica da discoteca, e non era mica per le grida dei passanti, e non era mica per il traffico, e non era mica per i vicini rumorosi. Era per la tempesta, era per il mare che alteratosi e destatosi lottava con gli scogli intorno al faro. Quella luce che se uscivi dopo cena a guardare le stelle, interferiva, nel suo passaggio, con la vista delle stelle, molte delle quali cadenti. Quella luce di cui abbiamo capito il meccanismo quando siamo saliti in cima, che uno può pensare che una luce che arriva così lontano sia generata da una lampadina enorme, che se la vedi non ci credi quant’è piccola quella lampadina.
Quel faro così fondamentale, punto di riferimento per le navi, per le barche; così è stato per noi, un punto di riferimento, un punto di fine, un punto di inizio. Il luogo del reset, il luogo in cui tutto è stato azzerato per lasciare spazio al nuovo. Visto che non c’era altro se non scogli, il mare ed il cielo, la fotografia in quei giorni si è ovviamente concentrata sul cielo, soprattutto sul cielo al tramonto, e sulle onde. Ho fotografato le onde come mai avevo fatto prima, ho fotografato le onde che si infrangevano con violenta delicatezza sugli scogli, rossi al tramonto. Ho fotografato le nuvole che non si capiva se stessero scappando dall’orizzonte o stessero cercando di raggiungerlo per cercare, anch’esse, la pace. Ho fotografato l’orizzonte, quella linea sottile dietro cui si nasconde l’infinito, ho fotografato quella linea sottile che separava e allo stesso tempo univa il cielo ed il mare, quella linea sottile che era divisione e condivisione.
Nerone ha conosciuto il mare, in quei giorni, ed è persino venuto a pesca con noi. Ho fotografato anche lui, ma soprattutto le barche a vela e le loro sagome, ma soprattutto la calma piatta del mare che isolava e allo stesso connetteva quella nostra isola felice al resto del mondo.
Una quantità infinita di metri cubi d’acqua tra noi e gli altri, tra noi e tutto ciò che volevamo lontano, in quel momento. Un punto di incontro tra noi stesse e la parte più intima che si nasconde in noi. Quell’intima parte che ci sfugge, nella quotidianità, nascosta da strati di voci e rumori, soffocata dalla frenesia, che allontaniamo per evitarci altri problemi. La conseguenza del continuo allontanamento di quella parte intima che ci appartiene è uno stato di soffocamento, di turbamento perenne. È grazie a luoghi come questo che ci si può riappropriare di quella calma di cui spesso ci scordiamo l’esistenza.
Quel faro è stato il nostro punto di riferimento, come lo era per le molte barche che navigano quelle acque. Eppure noi abbiamo raggiunto quel benessere non tanto seguendo la luce prodotta dal faro ma andando all’origine del problema, entrando nel faro, cercando di capire come funzionasse quella luce, come girasse, e quale fossero i meccanismi che si innescavano in caso di guasto. Così abbiamo trovato la pace, così abbiamo ritrovato noi stesse.
Tornando a riva, tornando a contatto con altre persone, abbiamo provato per un attimo un senso di estraniamento, per un attimo ci siamo sentite fuori luogo. Tornando a riva abbiamo rivalutato molte cose, tornando a riva abbiamo rivalutato noi stesse, tornando a riva abbiamo apprezzato il valore di quella fuga.
"It was an escape, completely, from everything, from anyone. It was a searching for the peace we had been deprived of, or that we didn't manage to reach in that period. An inner peace really wanted, that we reached in that place, far away from the world.
Desire to escape, realized. Desire to listen only to our own thoughts, realized. Quiet, desire to communicate with the sea, realized. Isolation, desire not to have any contact with anyone. Volunteer exile, complete emargination, from Internet, from people, from the noise, from television, from lights, from screaming, from words. We escaped from what is material, we escaped from words, even from ours.
We managed to stay in silence, and that was really hard for me, we managed to meditate at sunset, to read a book literally all at once, without distractions, messages, without any interference. We managed in the intent we wanted to reach. To many, it could seem to be a strange experience, and many could think that it doesn't have anything to deal with the concept of holiday we usually have.
Anyway I ensure you that a feeling of well-being pervaded me and stayed; it was fantastic. Our secret eascpe, that's how I named it. The last island, the farest from the croatian seaside, only rocks and a lighthouse. We were in the lighthouse and once we couldn't sleep, and it was not for the disco music, it was not for people screaming out loud at night, it was not for the traffic in the street, it was not for noisy neighbors. It was for the storm that was going on, it was for the sea that was getting upset and fighting with the rocks all around our lighthouse.
The light from the lighthouse was so powerful it interfered with the view of the stars, at night. We also discovered how that light works when we went to the top of the lighthouse; you could be surprised knowing how small it is the lamp that generates such a strong light. That light, so meaningful for the ships at night, so was for us, a landmark, an end, a new beginning, the reset's place.
Photography, in those days, focused on the sea, on the rocks, on the waves crashing on the rocks with violent delicacy. Photography focused on the sky, at sunset, at sunrise. I also took pictures of our poodle, Nerone, who went fishing with us and also learned how to swim, even if waves scared him. An infinity of cubic meters of water between us and others, between us and everything we wanted far from us, in that moment. A meeting point between us and our inner part we usually hide, in everyday life, under layers of voices and noise, suffocated by frenzy. Thanks to places like this one, we can easily manage to own again the quiet we often forget about."
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