Tazze e mandarini
- Virginia Barchi
- 7 gen 2019
- Tempo di lettura: 3 min
"Mother of dragons” recita il logo stampato sopra la tazza in cui mi viene servito del vino scelto nel ripiano dei rossi in alto al supermercato davanti al quale ci siamo date appuntamento. Un'amica storica riscoperta da meno di un anno, un supporto quasi quotidiano negli ultimi mesi che ha trascorso a lavorare fuori dai confini di questo stivale. Fissate come siamo compriamo della verdura che in qualche modo arrangeremo, spinaci che ci scorderemo di mangiare. Chiamiamo l’amica che offre casa, ci assicuriamo ci sia riso a sufficienza per tutte. Coi sacchetti biodegradabili del reparto ortofrutta ci dirigiamo alla mia macchina parcheggiata. Il mio settanta litri è fissato in vita, sulle spalle non mi pesa, prendiamo il cavolfiore residuo da una spesa e ci avviamo. La scena diventa comica nel vedersi rovesciare il sacco dei mandarini sull’asfalto. Ed io tutta convinta decido di salvare quello che sta rotolando sotto alla macchina parcheggiata davanti alla mia. Lo salvo, ma cado, e rialzarsi è dura mentre rido, e Cami non mi porge il braccio, anche lei è impegnata a contrarre l’addome in una grande risata.
Appena saliamo l’ascensore a malapena si apre, e si accavallano le une alle altre le chiacchiere di aggiornamenti estemporanei rispetto all’ultima volta in cui ci siamo viste; sempre lì, col clima di luglio, in mezzo a tanta altra gente ma con la stessa voglia di riunirci in cerchio e raccontarci davanti ad un salame tagliato alla meno peggio. Per temporeggiare una pizza surgelata al tartufo finisce in forno su un letto di carta stagnola mentre una ciotola si riempie di chimiche patatine al formaggio brandizzate che regalano una lima utile al mio buon proposito di quest’anno. Un punto in più alla mia femminilità, per stare al passo con quei dettagli che intorno a me vedo già definiti da anni sui corpi delle giovani donne che ho accanto.

Mentre sveliamo la diagnosi degli acciacchi di cui iniziamo a sentire il peso taglio le verdure, e con un po’ d’acqua le abbandono su uno dei quattro fuochi. Per avviare il risotto ci diamo il tempo di un’altra pizza surgelata, questa volta Margherita, ed un altro sorso di vino. Daria e Cami sono già sotto alla coperta di pile beige che ci accoglierà dopo cena, intanto sbuccio carote da recapitare a tutte, chi impegnata in qualche conversazione, chi in cucina con me. Me ne porgeranno poi le rimanenze una volta sazie, ma io son solo che contenta. Ci riuniamo intorno al tavolo basso e mangiamo, le tazze raddoppiano per bere giusto un goccio d’acqua per accompagnare la pietanza appena servita. Il soffritto ha reso saporito un semplice risotto e le verdure, poco invitanti a guardarsi, sembrano piacere a tutte.
Elena siede su un cuscino sul lato lungo del tavolo, davanti alle altre due, e ci racconta della costa, cita il gatto con cui ricordo giocavamo da piccole. Cami d’improvviso si ricorda qualche parola di una filastrocca, non riesce a rievocarne la melodia, ma Daria ed Elena scattano come due molle, e la recitano senza esitazioni. Le sue parole mi risuonano in mente, l’avevo rimossa ma ora ricordo. Passiamo in rassegna i nostri compagni di classe, episodi di quindici anni fa rimbalzano dall'una all'altra come in un Pin Ball e ridiamo nel vedere come non siano poi cambiate di molto certe cose, eppure a tratti ci soffermiamo, come sospese, a constatare come certe altre invece siano cambiate, per lo più in meglio, rendendoci le donne che siamo in procinto di diventare. Per abbassare i toni ci astraiamo un po’ dalla realtà con una puntata speciale di una serie tv molto in voga. Il sonno si fa sentire oltre l’una, non siamo più abituate, ma infiliamo i piedi freddi nelle scarpe prima di salutarci consapevoli che ritrovarci ci darà sempre una certa carica, all’idea di una serata in compagnia o della possibilità rinnovata di confrontarci con chi eravamo e con chi stiamo diventando.
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