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Discesa di un amore

  • Immagine del redattore: Virginia Barchi
    Virginia Barchi
  • 31 lug 2018
  • Tempo di lettura: 3 min

Avrei voluto stringerti la mano quella volta in ascensore.


Finita quella serata tra amici a casa di uno di loro, durante uno di quegli eventi in cui tu ed io per caso ci incontriamo sapendo che capiterà ma senza porvi sopra l'accento, ci ritrovammo insieme in quell'ascensore.

Quella serata era come le altre in cui ai capi opposti di un corridoio, ci incontravamo per la prima volta, mentre ognuno di noi parlava con uno degli altri invitati. Sapevamo della presenza dell'altro in quella stessa manciata di metri quadri, ma ciò nonostante rimanevamo immobili.

Mi spiavi tra una battuta e l'altra con la coda dell'occhio, ed io ricambiavo quando per caso chinavi il collo in avanti a spiare la punta dei tuoi piedi. Anche dopo aver concluso il discorso che stavamo portando avanti, facevamo finta di niente e solo quando i nostri occhi si incrociavano in una discussione estesa ai più dei presenti, solo allora ci scambiavamo un labile ciao, sussurrato appena per sentirsi, sussurrato piano per non disturbare le voci che sopra quel nostro timido saluto si ovattavano sotto all'incombente peso dei miei pensieri che mi spingevano in abbracci calorosi che mai ti avrei dato, in baci lievi con cui mai mi avresti salutata, non in pubblico per lo meno.


Avrei voluto un posto chiuso per non doverti vedere scappare da me, come quando ti allontani sorridendo per temporeggiare e poi si finisce che vediamo qualcuno arrivare.

Mi son persa un dettaglio di cui mi vorrei ricordare, mi son persa per sbaglio a pensare se il nostro sia un problema per aver già finito gli argomenti di discussione prima di iniziare o se la timidezza ci costringe a non parlare e lasciar andare.


Avrei voluto stringerti la mano in quel corridoio, e poi stringerti più forte, volevo sfiorare le tue dita grandi dopo aver spento la luce mentre ti seguivo verso la sala dove erano tutti, dimentichi di noi. Avrei voluto stringerti la mano e dirti che era tutto a posto quando tra i busti di chi era tra noi, seduto su quel divano, mi guardavi, non so bene se distratto in pensieri a cui non appartenevo, o se perso in considerazioni su quanto valessi per te. Ti ho incontrato all'improvviso e sei rimasto a guardarmi, tornando poi alla conversazione che stavo intrattenendo.


Avrei voluto stringerti la mano e dirti che era tutto a posto, che per me non era motivo d'imbarazzo, che se avessi voluto, fosse stato quello un tentativo di comunicazione, mi sarei impegnata fino in fondo per capire quanto avevi da dirmi, per quanto silenzioso fosse il tuo sguardo che fisso sembrava contemplare il vuoto.


Chiamasti l'ascensore mentre uscivo con l'affanno che mi trascino dietro nel mio frettoloso precipitarmi sugli eventi che mi appresto a far avvenire. Premesti quel pulsante che si fece rosso mentre tornavo in casa a salutare qualcuno da cui mi ero scordata di congedarmi. Ti trovai lì con l'imbarazzo di chi è troppo vicino a qualcuno per non sentire il bisogno di scostarsi un poco, per quanto inevitabile sarebbe stato poi un riavvicinamento, viste le dimensioni inestensibili della cabina in legno che ci accolse silenziosi. Il mio viso appena arrivava alla tua spalla, che mi rivolgervi guardando fisso davanti a te le grate che tra i vetri di quella cabina scorrevano mentre scendevamo ai piani inferiori.


Sentivi il mio respiro oltre la camicia di lino bianca indossata per l'occasione. La tua mano immobile soffriva l'ipotesi che io potessi afferrarla con la mia che immobile aspettava impaziente l'insorgere di un impulso incontrollato.

Avrei voluto stringerti la mano in quel momento, per dirti quanto sappia gestire con poco le situazioni che non pretendo, pur essendo troppo il più delle volte. Avrei voluto stringerti la mano in quel momento, per ammazzare quel silenzio almeno con un sospiro di sorpresa.




Ma poi la tua mano grande e forte senza preavviso mi ha sfiorata con una carezza migliore di ogni parola che avresti potuto dirmi.

Ma poi la tua mano ha afferrato la mia, e da quel giorno non ci siamo più lasciati.




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