Sale sulla pelle
- Virginia Barchi
- 15 nov 2018
- Tempo di lettura: 4 min
Le ruote scorrevano lente sull’asfalto reso irregolare dalle radici di quegli alberi che durante il giorno vi gettavano la loro ombra, allietando le pedalate di chi in villeggiatura in uno di quei comprensori raggiungeva il mare spoglio di qualsiasi cosa materiale. Come fosse un richiamo. Il richiamo del mare.
In sottofondo la musica, sempre la stessa, scandiva i chilometri che percorrevano di ritorno a casa. La mano di lui passava dal cambio sulle gambe tremule di lei, assorta nelle considerazioni sulla donna che stava divenendo. Si sarebbero poi resi conto che in poco più di ventiquattrore avevano percorso ottanta chilometri, e sarebbe sembrato loro di non essersi mai mossi.
Ottanta chilomeri a partire dal prelevamento alla stazione in quella calda domenica estiva, fino al ritorno in quella stessa stazione solo il giorno dopo, per quanto quella parentesi fosse sembrata loro molto più estesa. O forse era stato il tempo a dilatarsi al punto da rendere lunghissimo ogni minuto. Prima di qualsiasi cosa, aggiornatisi brevemente su ciò di cui erano rimasti all’oscuro l’uno dell’altra nel tempo in cui non si erano visti, si assicurarono di avere cibo a sufficienza per le ore a venire.
Così al reparto frutta scelsero delle pesche ma non i fichi con cui avevano deciso avrebbero cucinato un gustosissimo piatto di pasta e pancetta l’indomani a pranzo. Gli scaffali dei vini li videro fare avanti ed indietro finché non scelsero un vino rosso che poi non bevvero. Il banco dei prodotti freschi li vide in fila per un pezzo di pane salato, due mozzarelle ed un trancio di pancetta. Il frigo delle carni per due hamburger da consumare per un pranzo veloce. Di caffè, come di sale, non c’era bisogno. Così, caricate le cose in macchina, parcheggiata questa il tempo di riempire un sacchetto di carta con una manciata di fichi neri scelti al banco del mercato, ritrovato l’abitacolo ad una temperatura spaventosamente alta, fuggirono a casa.

Sistematisi decisero di svuotar le buste della spesa, ordinatamente, lasciando su quel tavolo a mezz’aria solo il pane che avrebbero mangiato a pranzo con le due gustosissime mozzarelle. La carne sul fuoco già borbottava mentre la tavola veniva apparecchiata, lontani dal sole che sul tavolo in giardino rifletteva sui bicchieri di vetro interferendo con i lunghi discorsi che stavano portando avanti da un paio d’ore a quella parte.
Indossato un vestito leggero e portata quella padella bollente in tavola, lei prese posto, lasciando a lui quello a capotavola che la metteva tremendamente in soggezione. Bocconi gustati con calma durante un pasto scandito da un adeguato scambio di battute li riportarono in cucina dopo un po’, dove lei si premurò di non lasciare alcun utensile sporco. Il senso di astrazione che le conferiva il lavaggio dei piatti era qualcosa che non concedeva le fosse sottratto. Così lui preparò il caffè, mentre accennava ai concerti a cui sarebbe andato di lì a pochi giorni.
Riposatisi un poco, godendo del silenzio di quel posto, decisero con calma e senza fretta di indossare un costume in quel pomeriggio già iniziato. Tirate fuori le bici dal garage, chiuse tutte le persiane, con solo un telo poggiato sulla sella, senza alcun telefono, partirono. Irreperibili, alla volta del mare.

La spiaggia li accolse piena di quel vociare tipico dell’ora in cui ormai il sole è a metà strada nel suo tuffo all’orizzonte ed i bagnanti sono in procinto di ritirare i loro effetti personali, mentre ai bambini si ordina di raccogliere i loro giochi e di loro non restano che profonde buche scavate con piccole mani, castelli abbattuti da onde arrendevoli giunte a riva ad intervalli irregolari.
Fecero un bagno rilassato laddove l’acqua era bassa, lei evitò di bagnarsi i capelli e lui scordò di guardare l’orologio mentre i paguri si aggrappavano alle loro dita immerse nella sabbia per tenersi fermi, e per quanto possibile, vicini, in modo da non parlare ad alta voce pur riuscendosi ancora a sentire. La pelle d’oca che le vide indosso lo spinse a proporle una passeggiata in direzione del sole che dietro le alture di quelle terre tentava di nascondersi. Così passeggiarono finché non fu asciutta, mentre condividevano i ricordi di quando si erano conosciuti le prime volte, e le dinamiche che li avevano avvicinati.
Col sole calante e la fame incalzante tornarono a casa. La fame dei baci che ancora avrebbero voluto scambiarsi e del rosso del cielo che videro solo dalla macchina mentre disperatamente cercavano uno slargo in cui lasciarla, facendo avanti e indietro su quel tratto di costa che sembrava non finire mai. Alla fine riuscirono a godere degli ultimi minuti di quella discesa silenziosa e nel ritorno a casa dirottarono alla volta di una pizzeria che fece trovar loro pronte due pizze a portar via. Era già tutto apparecchiato, così come il film era già stato scelto, anche se nessuno dei due lo avrebbe poi visto, una volta sdraiatisi l’uno accanto all’altro dopo cena.

Al mattino presto lei fece silenziosamente capolino in cucina, dove la luce crescente di un mattino ancora fresco illuminava le pagine del libro che, per i sensi di colpa che la angosciavano ogni volta che trascorreva troppo tempo lontana dallo studio, aveva in ultimo infilato in borsa mentre usciva di casa. Quella borsa così piccola che qualcun altro si sarebbe sorpreso a scoprirvi dentro persino un cambio, oltre allo spazzolino ed ai suoi effetti personali. Quando lui si fu svegliato prepararono il caffè, ma lei aveva già addentato la frutta che si era premurata di comprare per sé.
Seppur senza le pinne che avrebbe voluto portare con sé in quella breve trasferta improvvisata, decisero a metà mattina di avviarsi, con ai piedi vecchie scarpe sacrificabili, alla volta delle grotte che in quell’area erano un’attrazione. Raggiunto un posto consono ad abbandonare lo zaino che avevano con sé, entrarono in acqua. Nuotarono senza pensare ad altro se non alla grotta successiva da raggiungere, incuranti del mare che pian piano si gonfiava e che rese faticoso il rientro. Affamati rientrarono in casa, sentendosi meritevoli di quella ricetta già programmata per cui avevan già preparato la bocca.

Ma questa volta mangiarono l’uno di fronte all’altra. Questo, nonostante non ce ne fosse motivo, la faceva sentire più vulnerabile, come qualunque situazione che concedesse al suo interlocutore di guardarla negli occhi.
Bastò quel pizzicotto sulla guancia per sciogliere in lei quella tensione ingiustificata.
Bastò quel gesto a lasciarle un po’ di sale sulla pelle.
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