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Porte e Cicatrici - Doors and Scars

  • Immagine del redattore: Virginia Barchi
    Virginia Barchi
  • 26 gen 2016
  • Tempo di lettura: 5 min

Trastevere, Rome

Questa settimana non sono a casa, non ho il mio computer e diversamente dal solito, pur sapendo che sarei stata fuori casa, non ho pensato di lasciare in programma la pubblicazione di un nuovo testo. Non ci pensavo, e quando me ne sono ricordata, ho preferito lasciar correre, pensare che per una settimana potevo anche non pubblicare nessuno scritto. Oggi ho ritrovato una nota vocale sul mio telefono, registrata durante una passeggiata col cane, che era freddo e non riuscivo a scrivere, che mi sentivo ispirata e non riuscivo a non scrivere. L'idea di registrarsi quando siamo impossibilitati a scrivere, pur essendo ispirati, me l'ha data un amico che un giorno mentre parlavamo, ha accennato a quei dispositivi che usano giornalisti o scrittori veri, per appuntarsi delle cose al volo registrandole. Questo è quello che ho registrato quel giorno.

"Passeggiando per le strade di un piccolo borgo, guardando una piccola buca delle lettere, in mezzo alle pietre del muro di un palazzo, mi accorgo di non aver mai parlato delle porte. Nelle nostre spedizioni fotografiche, quando andiamo alla ricerca di borghi caratteristici per fotografare stradine nascoste o piene di fiori, osservo sempre le porte.



Le porte sono una metafora, un muro per ciò che ci è estraneo, nonchè la via di fuga dalla nostra quotidianità. Le porte hanno una storia, sono consumate dal tempo, dalla pioggia, dal vento. Hanno maniglie, tutte diverse tra loro; lineari o ben elaborate. Hanno delle griglie talvolta, nella porzione superiore, delle grate, spesso con uno stemma o un motivo floreale o un disegno. Le porte sono rovinate all'esterno e ben curate all'interno.

Sono l'ultima cosa che vediamo quando usciamo di casa e la prima cosa che vediamo quando entriamo in casa. Le porte rappresentano il muro dietro cui possiamo nascondere la nostra più segreta tristezza, la nostra malinconia, ma sono anche l'accesso per tutti coloro e tutto ciò che vogliamo far entrare nella nostra vita, un accesso per condividere con gli altri e per mostrarci agli altri.


Aprendo la porta di casa facciamo entrare gli altri, i nostri amici, i nostri parenti, rendendoli partecipi della nostra vita, della nostra piccola realtà, della nostra quotidianità. Aprendo la porta di casa usciamo mostrandoci al mondo per quelli che siamo, o come quelli che abbiamo deciso di voler apparire (perché non sempre le persone escono di casa negli stessi abiti in cui vivono la loro quotidianità, talvolta si mascherano, trasformandosi). Le porte hanno una serratura, perché non tutti possono aprirle, solo coloro che possiedono le chiavi sono autorizzati ad accedere nella nostra intima sfera. Solo noi possiamo decidere se chiuderci dentro per impedire agli altri di accedere all'interno, di invadere la nostra riservatezza.


E quando diciamo di non trovare le chiavi di casa, forse disperse sotto i sedili della macchina, o forse confuse tra i vari oggetti che teniamo in borsa, potrebbe anche essere che sia per il fatto che non vogliamo rientrarvi, in casa, non vogliamo rientrare nella noiosa e morbosa monotonia delle mura della nostra casa, delle abitudini, delle stranezze dei nostri familiari.

E quando perdiamo le chiavi di casa, o le troviamo sparse tra i giornali in salotto, o confuse tra gli utensili in cucina dopo minuti di ricerca, forse è perchè, nel profondo, non siamo pronti ad affrontare la realtà di tutti i giorni, o ad affrontare confronti con le persone che ci aspettano o che potremmo incontrare fuori da quella porta.

C'è chi, prima di andare al letto, chiude due volte le chiavi nella serratura, per nascondere i sogni di cui si nutre la sua parte più irrazionale. Ci sono persone che invece non chiudono mai la porta di casa, fiduciosi che forse nel mondo non ci siano persone che vogliano invadere gli spazi che appartengono all'intimità di ognuno di noi, speranzosi forse che le novità li travolgano nel sonno.



Ho iniziato dicendo che molto spesso fotografo le porte che più mi affascinano, quando visito dei borghi in giro per l'Italia. Questo fascino è spiegato da tutto ciò di cui ho parlato, dal mio interpretarle come uno scudo dietro cui ci ripariamo per nasconderci, ma anche come un modo per entrare in contatto con gli altri. Per questo forse mi affascinano, non solo a livello scenico, non solo per scattare una foto armoniosa. Mi piacciono perché nei piccoli borghi sono sempre particolari, perché sono consumate, vissute, e le cose che non vengono vissute non si integrano bene con il resto, rimangono lì, come un bel divano a casa di una nonna troppo severa, su cui nessuno può sedersi, che rimarrà intatto per anni (e scomodo tra l'altro).

Mi piacciono le cose vissute, consumate, ma curate, le cose che raccontano una storia. Mi piacciono quei segni che tracciano l'altezza dei bambini sugli stipiti delle porte, per vedere quanto crescono nel tempo, e mi piacciono le impronte sui vetri, quegli aloni che son brutti poi a vedersi, ma che indicano il calore di qualcuno che si è avvicinato tanto alla finestra, rapito dalla bellezza di un panorama o dalla curiosità di conoscere il mondo fuori. Mi piacciono i segni, le cicatrici sulla pelle che ricordano gli eventi, i segni sui muri, di quando hai fatto un trasloco o di quando hai deciso di spostare il pianoforte in salone."



Le cicatrici che ci ricorderanno cosa abbiamo vissuto, i tagli che ci ricorderanno quanto ha fatto male, le croste che ci ricorderanno quanto ancora brucia.

Le cicatrici che ci ricorderanno quanto era pericoloso, che ci faranno venir voglia di fare ancora battaglie coi cuscini, gare di corsa fino alla macchina, discendere un pendio su una tavola con ruote.

Le cicatrici che ci ricorderanno chi siamo stati, che ci ricorderanno che ci sono momenti che non possiamo ricordare, che ci ricorderanno che tutto resta,

tutto continua a vivere in noi, e le emozioni rimangono impresse sulla pelle,

segni indelebili di una vita vissuta a sbucciarsi ginocchia per continuare a correre, a scivolare sull'asfalto per continuare a camminare.

"Walking through the streets of a little town, looking to a little letterbox, in the middle of a building wall, I realize I've never talked about doors. Doors are like a metaphore, a wall for everything that is foreign, but also our escape from everyday life. Doors have a history, they are time-worn, consumed by rain, by the wind. Doors are consumed outside, well cured inside. Doors are the last thing we see when we go outside, but also the first thing we see when we go back home. They represent the wall behind which we hide our bigger uncertainties, but they are also the gateway for everyone or everything we are happy to let in, we are happy to share our life with.

Opening doors, we let others in, our friends, our family. Opening doors we go outside to show others who we are, or the ones we've decided to look like. Doors do have a lock, and only the ones we gave the keys to are able to open them, are able to enter in our intimacy.

When we say we can't manage to find the kyes, maybe lost under the car's seats, it could be because we are non ready to come back home, we are not ready to face the everydaylife, its monotony, or the strangeness of the family members. When we lose the keys, confused between the newspapers in the living room, maybe it is because we are not ready to go out and tackle the ones we have to meet, the ones we could probably meet.

The way I do interpret doors, explains why I give them a particular attention, not only for taking harmonious pictures. I like doors because they are usually time-worn, they have signs, cuts. I do like signs, like the scars on our skin that make us remember about past events, like the prints we leave on the walls of our house while moving the sofa, while playing with a ball.

Scars will remind us things we lived, cuts will rimind us how much it hurts, crusts will remind us how much it still hurts. Scars will remind us how much dangerous it was, they will push us to do it again, to continue the pillow-battles. Scars will remind us who we were, will remind us that there are moments that we cannot remember, will remind us that everything stays, everything continues to live inside us, and will remind us that emotions remain imprinted on our skin, like indelible marks."


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