What it means to me - Writing
- Virginia Barchi
- 3 feb 2016
- Tempo di lettura: 6 min
Non faccio altro che pensare, e scrivere, e rielaborare, e scrivere meglio, e rileggere. Non faccio altro che scrivere, un turbinio potente che travolge i sensi e mi tiene incollata alla tastiera. A volte penso che mi piacerebbe avere la calma di scrivere i miei pensieri su carta, a volte l'ho fatto, con la tranquillità necessaria ci riuscirei. Poi penso a quante parole ho da scrivere, quanti pensieri da imprimere, quante frasi impronunciabili che non possono non uscire dal traffico che mi pervade, che se non faccio qualcosa, se non smaltisco tutta questa entropia, che aumenta esponenzialmente ed esponenzialmente mi strugge, se non provo a sviare da tutto questo affanno di parole, da questa ricerca di suoni armoniosi ed effetti contrastanti in grado di imprimersi nella mente di chi legge, di destare disagio, allora finirò per impazzire.
Me li immagino come automobilisti impazziti, i miei pensieri. Me li immagino alla guida di auto sportive, di auto da rally, che si lanciano nei fuori pista, che non seguono strade asfaltate, che prendono scorciatoie e si ritrovano ingorgati ai semafori degli incroci complessi, quelli con tanti attraversamenti pedonali, la precedenza a destra e il divieto di sosta. Me li immagino come automobilisti impazziti usciti tardi da casa, che non hanno margini di errore sull'orario di ingresso al lavoro, che non vogliono però rinunciare alla tappa al bar, che la giornata non parte bene senza caffè. Allora col caffè in circolo, me li immagino correre per le scale del palazzo, me li immagino arrivare al piano del proprio ufficio affannati, e col fiatone li immagino parlare coi colleghi. Me li immagino come lavoratori incalliti, i miei pensieri. Me li immagino scrivere freneticamente appunti sulle loro agende personali, me li immagino mentre ricevono una chiamata per ricordargli di passare a prendere la torta per il compleanno del cane, me li immagino nelle loro brevi pause pipì, me li immagino durante le chiacchiere con gli amici, in cui si ritrovano ad essere gli ascoltatori distratti quando si trattano argomenti superficiali, in cui si ritrovano a tenere in piedi i discorsi quando si tratta di questioni importanti. Me li immagino arrabbiati, automobilisti che suonano il clacson anche ai piccioni, me li immagino sempre di corsa, si ritrovano a spintonarsi sulla porta d'uscita, me li immagino frenetici ed irritati, e li immagino prolissi.
Ed è così che li sputo fuori, è così che li compongo, apparentemente senza senso, lunghi a tal punto da perdersi per gli innumerevoli incisi, difficili da comprendere, alterati nel tono. Ed è così che li voglio scrivere, in modo che possano al meglio rappresentare la mente disordinata da cui sono usciti, la mente piena di ambizioni e progetti, la mente organizzata che ancora crede nei sentimenti, che per questo si affanna in cerca di risposte della cui esistenza non si è ancora trovata alcuna testimonianza documentata.
Da qualche tempo ormai, quasi un anno, ho iniziato a buttare su carta, esternandoli, i pensieri più disparati cercando di metterli in ordine. Il ché mi ha aiutata non poco a fare chiarezza, a comprendermi, rileggendomi, per metabolizzare meglio sensazioni, emozioni, avvenimenti. Negli ultimi mesi inoltre, la cosa si è intensificata a tal punto da portarmi a maturare l'idea che forse era ora di comunicare parte delle mie esternazioni. Così ho deciso di iniziare a raccontarmi attraverso le mie fotografie, a raccontare le storie che si celavano dietro i miei scatti, che sicuramente non interessa a nessuno, ma per me è un modo di riordinare il caos che governa la mia mente.
Sono tremendamente e pericolosamente attaccata alle parole, ad ogni singola parola che mi viene rivolta, ad ogni singola parola che pronuncio. E non per rispettare formalità burocratiche, non soltanto perlomeno, non per educazione, non soltanto perlomeno. Piuttosto perché amo trovare, sia quando parlo che quando scrivo, sia quando mi rivolgo a qualcuno distrattamente, che quando mi confronto con altri in modo più concreto, amo trovare dicevo, selezionare e pronunciare ogni parola. Sono infatti convinta che per ogni situazione ci sia un sinonimo indicato, una parola più adatta, un verbo più espressivo, un aggettivo più esplicativo. Le parole vanno pesate, vanno calibrate, sono importanti, almeno per me. Tutto questo senza pero rischiare di esprimere in modo artefatto le proprie emozioni; al contrario per riuscire a formulare un quadro più definito e sincero, meno superficiale e più diretto.

Quando non racconto delle mie fotografie, non parlo dei miei viaggi o quando non faccio resoconti di eventi a cui ho partecipato, mi sfogo. Soprattutto prima di addormentarmi, quando il buio lascia ai pensieri il coraggio di mostrarsi, quando l'unica luce nella foresta che immagino esserci nella mia testa appartiene alla luna e quando il silenzio dei lampioni fuori dalla mia finestra lascia il tempo alla mia coscienza di sussurrarmi parole e frasi e di espormi i tormenti che, nascosti nel chiasso della quotidianità, non trovano nel giorno, la voce per mostrarsi tra gli altri pensieri. Quando la sera prima di addormentarmi mi sfogo, è allora che sento davvero di scrivere qualcosa che possa essermi utile, al livello psicologico. Attraverso le parole riesco a spiegarmi, a mostrarmi a me stessa, a capirmi davvero, riuscendo a delineare le paure e le ansie e il dolore di ricordi offuscati dal passare del tempo, tramite l'accostamento di parole che credevo tra loro estranee. Mi piace tanto parlare e ho così tante cose da dire, che talvolta inciampo nelle mie stesse parole, perdendo il filo dei miei discorsi, non riuscendo più a pronunciare le parole, inserendo incisi così prolissi da lasciare il mio interlocutore così confuso da portarlo a credere che io sia pazza.
Comunque sia, la scrittura, a seguito della maturazione del mio grande amore per la lettura, si è pian piano impossessata delle mie giornate. Spesso rimango delusa dall'incapacità di riuscire a scrivere un determinato pensiero così come era stato concepito, così come mi aveva colto, impuro, privo di qualsiasi impurezza che appartiene al mondo materiale, al mondo esteriore. Altre volte mi sorprendo di accostamenti casuali eppure così efficaci per esprimere in tutto lo stato d'animo che in quel momento mi pervade.
Molte volte ho pensato che mi sarebbe piaciuto scrivere un libro, molte volte ho iniziato a scrivere storie, ma non avevo la fantasia necessaria e spesso mi fermavo dopo poche pagine, interrotta dall'incapacità di trovare le parole adatte ad esprimere storie che non mi appartenevano, momenti che non avevo vissuto, contatti che non avevo scambiato, parole che non avevo pronunciato, sguardi che non avevo ricevuto, abbracci che non avevo stretto. Così mi sono detta che se mai volessi far confluire tutti gli scritti della mia vita, tra cinque anni, tra dieci, sarebbe molto piu bello far confluire in un solo racconto, che poi è il racconto della mia vita interiore, tutti questi attimi di ispirazione sparsi tra fogli di carta infilati nei libri, nel promemoria del telefono, nelle note dell'iPad.
Ogni scritto, ogni frammento, ogni breve racconto, ogni poesia (se sono tali le mie composizioni), rappresenterebbe una tappa, un giorno, un momento, un'emozione, una persona appartenenti alla mia vita e quindi racconto ed esternazione della mia vita. Scrivere mi aiuta soprattutto a metabolizzare i pensieri negativi, a rendermi consapevole e mi porta di conseguenza a motivarmi, criticarmi quando la negatività mi pervade, e a tirarmi su, a notare il lato positivo nascosto tra strati di parole in disuso e frasi talvolta senza significato, tra descrizioni coincise di foto rappresentative e racconti lunghi un'intera notte. Sono finalmente riuscita a raggiungere, o sono sulla via per farlo, un equilibrio per cui ogni giorno, ogni volta, riesco a trovare il modo di esprimere a parole mie quello che sento, e lo scrivo, e non mi vergogno di farlo; "la scrittura è una cosa importante e affascinante", mi disse un amico.
"I do nothing else than thinking and writing. I do nothing else than writing, a powerful whirl that overwhelmes senses and keeps me glued to the keyboard. Sometimes I think that it could be better to write down my thoughts quietly, write them on papers, sometimes I did. Then I think of how many words I have to write, of how many thoughts I have to impress, of how many unpronounceable sentences, that cannot escape from the traffic that comes over me, I have to express. If I don't exhaust all this entropy, which exponentially grows and which exponentially consumes me, I'll end up going crazy.
I do imagine my thoughts as crazy drivers, driving sports cars, rally cars, who jump off roads, who do not follow paved roads. I do imagine my thoughts as crazy drivers late for work, who don't want to give up the morning coffee. Then I imagine them running up on the stairs, I imagine them talking with breathlessness to colleagues. I do imagine my thoughts as workaholics who frantically write down notes on their personal agenda. I do imagine my thoughts as crazy and angry drivers honking even to pigeons, always in hurry, long-winded. It's exacly like this that I compose them, apparently without any sense, so long to get the reader lost. It's exacly like this that I want them to be, so that they can represent at their best the messy mind from which they came out.
I am tremendously and dangerously attached to the words, to every single word that comes to my ears, to every word I utter. It's because I love to find (both when I talk that when I write, both when I talk to someone that when I compare myself with others), select and pronounce each word. I am convinced that for every situation there is a suitable synonym, a more appropriate word, a more expressive verb, a more expressive adjective. Words must be weighed, calibrated, they are important, at least for me. All this, however, without risking to express our emotions artificially; rather with the purpose of formulating a less superficial and more direct sentence.
When I do not talk about my photographs, or about my journeys, or when I do not talk about events I attended, I give vent to my thoughts. Expecially when in bed, before falling asleep, when darkness leaves to thoughts the courage to show themselves, when the only light in the forest I imagine my head has inside, belongs to the moon and when the silence of the lamps outside my window gives to my conscoiusness the time to whisper me words and sentences and to explain me the worries that, hidden in the chaos of everyday life, can't find the voice to show themselves between others thoughts.
Sometimes I think about how beautiful it could be to be able to write a book, many times I've started writing novels but I didn't have enough inspiration and often I stopped writing after few pages, I have been stopped by the incapacity to find the right words to express and describe stories that don't belong to me, moments that I've never lived, contacts that I've never had, words I've never said, hugs I've never given. So I told myself that if I want to write a book, I can put all this thoughts together and just write the story of my inner life.
Every piece, every word, every short tale, every poem (if I can name "poems" my compositions), represents a step, a day, a moment, an emotion, a person who as belonged to my life. Writing does help me, gets me conscoius, motivates me, helps me criticize myself when negativity comes over me, helps me to find the silver lining hidden under layers of words and sentences."
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