Sconnesse scene di quotidiana inutilità
- Virginia Barchi
- 20 giu 2016
- Tempo di lettura: 2 min
Passo a prendere lo spazzolino a casa e arrivo. Mi serve solo quello, poi mi fermo da te quanto vuoi.
Potresti anche rapirmi e non me ne accorgerei perché la cosa non andrebbe affatto contro la mia volontà.
Prendo giusto lo spazzolino.
Mi vedo riflessa nello specchio di sfuggita e sembro felice. Mi torna in mente quella buffa foto che mi hai mandato anni fa mentre ti lavavi i denti. Mi ricordo di altre due foto che ci ritraggono allo stesso modo.
Come a dire che avevamo passato una giornata insieme. Come a dire che insieme avremmo vissuto il passaggio verso la giornata successiva.
Fossero questi i ricordi che uno deve mantenere vivi, la mia sarebbe una memoria piena di sconnesse scene di quotidiana inutilità.
Ma lo sai come son fatta. Mi piace ricordarmi i dettagli. Poi le cose grandi no, troppo generiche, troppo impersonali.
Insomma tu aspettami, se vuoi metti su la caffettiera. Tempo che arrivo e ne sono usciti tre di caffè, però lo bevo anche freddo, tranquillo.
Che dici me lo porto un maglione, o mi concederai di sottrartene uno a mia scelta?
Che dici me lo porto un cambio, o finiremo per stare a casa tutto il giorno?
Che dici me lo porto il pigiama, o finirai per rispogliarmi ogni volta e sarà stato inutile?
La macchina fotografica la porto va, che un autoscatto non fa mai male.
Dovrei avere abbastanza scatti residui sulla pellicola.
Non si sa mai, alla fine ne prendo un'altra.
La strada verso casa tua me la faccio quasi di corsa. La borsa non pesa e non intralcia.
Mi piace questa mia essenzialità.
Già ti vedo seduto in terrazzo, appoggiato al vaso di fiori che prima o poi finirai per rovesciare.
Quelle maledette sigarette mi infastidiscono. Ma so già che è l’ultima che fumi. Perché rispetti il fatto che io non fumo e quando stiamo insieme ti piace baciarmi e sapere di fresco.
Sorridi, e me ne accorgo perché come si fa a non vederlo quel sorriso.
Sorridi, forse è perché sai che se ci ho messo così poco è perché ho corso.
Però ora cammino, ora che so che puoi vedermi.
Smetti di sorridere, forse è perché vorresti vedermi correre ancora, per accorciare ulteriormente l’attesa.
Non vedi l’ora, lo so. Facciamo pure finta che mi farò desiderare e che non ci stia pensando mentre mi servi il caffè nelle tazzine senza manico, di quelle che han perso da tempo la propria gemella.
Lascio lo zaino all’ingresso, tanto non mi serve nulla di quello che ho portato.
Mi serviva solo una scusa per non venire a mani vuote.
Mi serviva qualcos’altro da far entrare in casa tua.
Magari portare solo me stessa non sarebbe stato abbastanza.
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