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Incontri - Giovanna

  • Immagine del redattore: Virginia Barchi
    Virginia Barchi
  • 30 set 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Giovanna ha sulle mani la storia di una vita. Ora, nonostante gli acciacchi dell'età ed i dolori frequenti alla spalla (che comportano movimenti limitati) continua a lasciare su quelle mani la traccia di quello che vive.

Continua a volerlo fare.

Ogni volta che ci salutiamo protende la sua mano verso il mio viso. Mi avvicino e subito scocca un bacio. Dolce. Sincero. Ecco, c'è tanta sincerità in quello che mi dice.


Ogni volta che ci salutiamo vorrei abbracciarla ancora un po'. Oppure, ancor meglio, rimanere ancora un po' a farle compagnia. Giusto il tempo di farmi sconfiggere a briscola, un'altra volta.

Giusto il tempo di chiederle conferma sull'autenticità di quel suo ciuffo bianco. Ce l'ha da una vita. Non c'entra nulla la vecchiaia, e non è tinta il nero dei capelli.

A pensarci è buffo, è una cosa rara.


Ma lei buffa non è; sa essere severa ancora oggi. Ascolta tutto, elabora. Poi, quando meno te lo aspetti, dice la sua. Afferma solennemente una massima di vita riguardo un fatto accaduto di cui lei ha analizzato la dinamica. Allora capisci di quanto lavori ancora la sua testa, nonostante l'età. Allora capisci di quanto sia importante aspettare di ascoltare ciò che gli altri hanno da dire. Anche quando la tua pazienza vacilla nell'attesa di qualcosa che potrebbe anche non essere mai espresso. Allora capisci di quanto hai ancora da imparare, anche se pensi di essere sulla buona strada per capire tutto della vita. Tu che hai sessant'anni meno di lei, cosa vuoi saperne della vita?


La prima volta in cui l'ho vista ci siamo ritrovate a giocare a carte. Non erano passate neanche due ore da che ci eravamo conosciute. Per il tempo residuo di quell'incontro ho studiato.

"Ci hai pensato tanto per darmi un liscio, brutta biricchina?" Mi ricordo che è stata una delle prime cose che mi ha detto. Tra tutte ce n'è una ricorrente che non credo scorderò facilmente; mi consiglia sempre di ascoltare i pazienti che avrò in cura. Mi dice che è importante, che altrimenti non diventerò un bravo medico. Ma lei è fiduciosa, sembra credere in me. Sapere che c'è qualcuno che ci crede mi fa venire voglia di chiudere i libri nei pomeriggi piovosi che passiamo insieme, mi fa venire voglia di coltivare il mio lato umano per arricchirmi dell'empatia che solo tramite nuovi scambi, discorsi e sguardi potrò esaltare.


Giovanna per me è "La Nanì". E' una nonna ma non posso chiamarla così; strani intrecci familiari non me lo consentono. Ma il fatto di dare un nome alle situazioni ed inquadrarle in spazi predefiniti non mi è mai piaciuto. Per questo preferisco viverla e imparare da lei ad ogni incontro. Lei è perfetta per rientrare in questo piccolo progetto di testi perché è una figura importante. Eppure le nostre strade si sono incrociate da poco tempo e solo poche volte. Ma forse l'importante è sapere che si sono incontrate, che ogni volta lo abbiano fatto così intensamente da creare una rete intrecciata dei due fili con cui idealizzo noi due.

Ogni punto di contatto, ogni momento di intesa, ogni gesto d'affetto, li porta a sovrapporsi rafforzando il rapporto che ci unisce.


L'unico limite tra noi sembra essere il dialetto stretto di quando parla col figlio. Altre volte non ci capiamo perché è lei a non sentire me. Ma abbiamo la voglia di continuare a parlare e quindi ci veniamo incontro. Ci riproviamo, ripetiamo le cose. Ci riproviamo, cerchiamo spiegazioni, chiediamo conferme.


Un nuovo incontro ogni mese forse non è abbastanza, ma come dicevo, il bello è realizzare un intreccio intenso e resistente, è capirsi ed entrare in armonia ogni volta e saper valorizzare il tempo in cui siamo lontane per assimilare le lezioni di vita di cui ci arricchiamo quando stiamo insieme.


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