A quattro mani
- Virginia Barchi
- 29 ott 2016
- Tempo di lettura: 2 min
"As i hold your hand, I discover love again."
Lui guardava i cartelloni di una mostra allestita in uno degli edifici del museo dove si erano incontrati.
Erano mesi che non si vedevano e a lei importava solo riabbracciarlo, trattenerlo un po' più del dovuto tra le sue braccia e sentirlo raccontare come stesse procedendo la sua vita.
Ora che erano lontani.
Lo abbracciò da dietro mentre leggeva, ad alta voce, il manifesto.
Aveva la mano in tasca. Era la sinistra.
La afferrò delicatamente e se ne stette lì. E lui fermo come lei. E lui, fermo con lei, dandole le spalle ma cercando di percepire il più intensamente possibile ogni punto di contatto tra loro.
Poteva essere un momento come un altro, un gesto d'affetto qualunque.
Ma in quelle mani c'era un trascorso il cui ricordo le sarebbe rimasto dentro per sempre.

Con quelle mani avevano creato melodie insieme. E la musica, è risaputo, ha questo strano potere di creare stupefacenti armonie.
Con quelle mani, dicevamo, avevano creato melodie insieme.
A quattro mani, sui tasti bianchi e neri di un pianoforte a coda il cui suono arrivava dritto nelle orecchie di chi li era andati ad ascoltare ai saggi.
Quelle quattro mani, le loro. Sincronizzate. Seppur diversi i tasti che pigiavano, era bello, nel complesso, il suono che emanavano.
Come dieci anni prima, pigiavano ora tasti diversi di vite diverse (come lo era l'altezza delle scale).
Al ricordo, si rivedevano seduti sullo stesso sgabello nero, in una camicia ben stirata lui (e come gli stavano bene le camicie! e come gli stanno bene tutt'ora!), in un vestito blu ed i capelli raccolti lei.
Si può certo dire che si conoscessero da una vita, ed era un po' che non se ne stavano seduti sulla stessa sedia, nella stessa stanza, nella stessa città.
E tanto più lui le mancava, tanto più era felice al pensiero che ovunque sarebbero andati, ne era sicura, lui avrebbe ricordato quelle quattro mani.
Lei era sicura che, ovunque sarebbero arrivati, lui avrebbe ricordato le serate ed i giochi insieme, le cene poi da grandi e gli abbracci dolci.
Ovunque sarebbero andati, ne era sicura, lui avrebbe ricordato quelle quattro mani. Le loro.
Le stesse che incorniciavano gli abbracci dentro cui riuscivano a percepirsi di nuovo.
Percepirsi l'un l'altro con la voglia di dirsi tanto finendo per rimanere in silenzio.
Quegli abbracci che lei sentiva così intimi in cui, guancia contro guancia, sussurravano le ultime parole di congedo prima dell'abbraccio successivo.
Fosse stato un mese dopo o sei, sarebbe stato lo stesso. Nessuno dei due avrebbe scordato di percepire l'intensità di quel legame.
Che era solo loro.
Entrambi avrebbero ricordato l'impegno che era stato necessario per eseguire correttamente i pezzi che avevano suonato.
Entrambi erano consapevoli che era solo questione di allenamento e sarebbe stato necessario continuare a suonare per potersi ritrovare ancora in accordo, per creare ancora armoniose melodie.
Per quanto fosse difficile arrangiare spartiti le cui melodie trovavano, al confronto, anno dopo anno, un numero crescente di discrepanze.
La speranza era di non perder mai quell'armonia nei loro abbracci.
Per questo si sarebbero impegnati;
l'alternativa di un duo pianistico non era contemplata.
a GIacomo.
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