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Monologo

  • Immagine del redattore: Virginia Barchi
    Virginia Barchi
  • 26 ago 2017
  • Tempo di lettura: 1 min

A passo svelto camminavo avanti, non per presunzione, né per la fretta di arrivare, solo per la noia che mi avrebbe raggiunta se avessi rallentato, se mi fossi fermata ad aspettare che la vita mi travolgesse.


A passo svelto camminavo per raggiungere nuove mete con la grinta immagazzinata tra le fibre dei miei muscoli. A passo svelto mi addentravo negli abissi del futuro.





Ho imparato col tempo, e ce ne ho messo di tempo, a guardare indietro a quanto fatto, alle scelte prese, alle conseguenze maturate di un'azione improvvisata, a guardarmi indietro, sorridendo a quella parte di me che avrebbe preferito fare diversamente, essere migliore, agire con più cautela.



Ho imparato col tempo a gestire i sorrisi, fino ad abusarne, rimanendo convinta che anche un abuso fosse un ottimo modo di impiegare quei muscoli che sul viso circondano le mie labbra, i cui angoli, a comando od involontariamente, finiscono sempre per comporre sorrisi ingombranti.






Con certezza non saprei dire, so solo che è successo e ne ho dimostrazione ogni giorno.



Testimone ne è il sorriso che sfoggio con vanto, quando il corso degli eventi fa sfoggio di sé e si mostra nella sua veste peggiore. Saper sorridere è la cosa più bella che ho imparato da me; ogni volta mi interrogo a riguardo senza farmi mai trovare impreparata.


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