top of page

Prima di partire per un breve viaggio

  • Immagine del redattore: Virginia Barchi
    Virginia Barchi
  • 3 set 2017
  • Tempo di lettura: 6 min

Salutò quel suo amico di nuova data dopo un lungo abbraccio, sperando che potesse in qualche modo porre a quel pomeriggio appena trascorso una conclusione degna dello spessore dei discorsi che insieme avevano affrontato, aprendosi ognuno spontaneamente, lasciando che l’altro potesse scostare le tende pesanti e scure dietro cui custodivano stanze che di loro nascondevano i più cupi risvolti. Stanze buie o rese tali per scelta, stanze in cui l’eco risuonava con ferocia, eppure stanze piene di spaventose creature spesso ancora da delineare. Salutò quel suo amico, estrasse le chiavi della sua macchina opacizzata dal sole e ne aprì lo sportello del bagagliaio, lanciando sul sedile posteriore lo zaino che era solita portarsi dietro come borsa ormai da anni, da quando lo aveva recuperato in un vecchio baule di legno scuro, ricordandosi di quando ci aveva raggiunto Zanzibar dodici anni prima. Rivolse al suo amico ancora uno sguardo prima di prender posto e si ricordò della pizza che aveva portato lui come cena. Ne avevano mangiata poca insieme, eppure quel pensiero premuroso era piaciuto molto ad Andrea, che le aveva rivolto un sorriso quando vide sul suo volto la reazione che ebbe nel sentire che avrebbero potuto essere assaliti dai cinghiali che, come le aveva già raccontato, erano soliti passeggiare in quel parco ai margini della città.



Ricordandosene, Angela la estrasse dallo zaino appoggiandola sul sedile del passeggero, in modo tale che potesse accedervi più facilmente nel suo viaggio di ritorno a casa. Mise in moto la macchina dopo aver inserito la chiave su cui era ancora appeso un piccolo sonaglio a forma di cuore. Da qualche parte, non troppi chilometri distante da lei, uno stesso sonaglio risuonava nella borsa di quella nonna acquisita a cui voleva un gran bene. Glielo aveva regalato in un negozio in cui andava così spesso che le rare in volte in cui le faceva visita, per un motivo o per un altro finivano per andarci insieme. Ci aveva comprato anche una marmellata di produzione della proprietaria, ma ad ora non ricordava dove poteva averla messa, non l’aveva più vista in giro per casa.


Seguì attentamente le indicazioni per rientrare in città, per poter imboccare la strada che l’avrebbe riportata a casa. Si ricordò di dover chiamare Ottaviano. Gli aveva proposto di passarlo a prendere. L’indomani mattina sarebbe dovuto partire per un viaggio nella capitale tedesca ed avrebbe dovuto raggiungere la stazione poco dopo l’alba per salire sull’autobus che lo avrebbe portato in aeroporto. Non avendo mezzi, non sapendo dove avrebbe potuto lasciare la sua bicicletta e non potendo usufruire del trasporto pubblico per via degli orari di servizio incompatibili con la sua partenza, avevano deciso che avrebbe dormito da Angela, per poter così raggiungere facilmente la stazione.



La chiamata fu breve, durò il tempo necessario a confermare quanto già precedentemente accordato. Si prolungò per un breve scambio di battute su possibili infatuazioni che sarebbero potute nascere tra Andrea e lei, che smentì, confermando a chi la ascoltava dall’altra parte del telefono l’importanza di quella amicizia.

Nei quaranta minuti che impiegò per raggiungere l’abitazione di Ottaviano decise di mangiare la pizza rimasta, accorgendosi però troppo tardi di essere sprovvista di carta a sufficienza per potersi togliere dalle mani quella sottile patina di olio che le aveva lasciato il condimento della pizza. Accostò alla fine di Via Priscilla, poco prima dell’incrocio, si affacciò a vedere se la luce nella camera di Ottaviano fosse ancora accesa, ed accertatasene, lo chiamò. Ottaviano scese di corsa le scale, lasciando che il portoncino blu si chiudesse dietro le sue spalle coperte da un maglione beige che lo proteggeva dal caldo di quelle sere primaverili ancora timide per accogliere aumenti di temperatura che le avrebbero rese tali.


Un sacchetto di ciambelline al vino entrarono in macchina prima di Ottaviano, che le lanciò attraverso il finestrino aperto senza neanche annunciarle. A lui non piacevano ma era sicuro che Angela le avrebbe apprezzate. Si salutarono velocemente senza troppi contatti, si erano visti poco prima all’università, erano sazi l’una dell’altra. Eppure non mancavano mai ad appuntamenti estranei ai loro impegni quotidiani, e per una scusa o per un’altra organizzavano sempre rapide passeggiate intorno casa per un gelato (alla fine delle quali finivano sempre per ritrovarsi sui gradini di una chiesa lì in zona), confidenze notturne in compagnia di una birra, cene accompagnate da burrascose spese per decidere cosa cucinare e serate in locali accuratamente selezionati.


Mancava poco perché spendessero più tempo nel cercare parcheggio di quanto ne avessero impiegato per raggiungere casa di Angela. Ma questo non li stupì visto che era loro consuetudine inserire nelle tabelle orarie dei loro spostamenti anche quel tempo, durante il quale provavano ad ingannarsi godendo ancora della buona musica che l’impianto stereo della loro carrozza emanava, accuratamente selezionata secondo i loro gusti. C’erano spesso volte in cui però decidevano di fidarsi di qualche stazione radio che, puntualmente, li deludeva, costringendo l’addetto di quel momento, ovvero colui che sedeva davanti sul lato del passeggero, a cambiare continuamente stazione nella vana speranza di poter trovare una canzone adatta all’occasione e che, soprattutto, potesse piacer loro.


Una volta lasciata la macchina in un parcheggio delimitato da strisce bianche, voltatasi una volta a controllare, così, giusto per sicurezza, di averla davvero chiusa guardando gli specchietti retrovisori che si accostavano da soli ai lati della macchina, Angela girò l’angolo, imboccando la via di casa.


Ottaviano la seguiva. Camminavano l’una in mezzo alla strada, cosa che le piaceva fare moltissimo, soprattutto nel deserto in cui si trasformavano le strade la sera tardi, e l’altro sul marciapiede. Aperta la porta di casa, gli bastò la luce che proveniva dal piano cottura della cucina, sufficiente ad illuminare anche l’ingresso, per raggiungere la stanza di Angela. Ottaviano lasciò la valigia in terra, ai piedi della cassettiera, accese la lampada sullo scrittoio e lasciò che Angela liberasse il letto dai cuscini che di giorno lo trasformavano in un divano. Angela andò a lavarsi i denti mentre Ottaviano estraeva dalla sua valigia ordinatamente riempita, una maglia per dormire e dei pantaloncini da casa. Una volta tornata dal bagno, Angela si rese conto di avere ancora indosso la giacca. Se la tolse; fece lo stesso con il maglione di lana nero che le elettrizzò i capelli mentre si sfilava le scarpe dai talloni.




SLXLM​​


Mentre lei finiva di svestirsi, Ottaviano prese il portatile di Angela, lo accese e si sdraiò sul letto, cercando online un film che potessero guardare prima che la sua amica si addormentasse, sfinita dall’intensa giornata di studio. Prese posto anche lei sul letto, cercando sotto al cuscino il pigiama che era però rimasto sotto alle coperte tirate fin sopra il cuscino per la fretta di quella mattina, in cui non aveva avuto il tempo di riordinare a dovere. Si misero comodi sistemandosi i cuscini dietro la testa. Il film non era poi tanto entusiasmante, così iniziarono a parlare, prima con brevi battute e poi sempre con maggiore frequenza, sovrastando con le loro voci il debole suono che emanava dalle casse.




Angela propose di bere una birra, e prima ancora che Ottaviano potesse esprimere il suo gradimento a tale proposta, lei era già in piedi sul letto. Lo scavalcò prima di scendere dal lato opposto e a piedi scalzi andò ad aprire il frigo nel ripostiglio. Nel frattempo Ottaviano era già diretto in cucina. Trovò due bicchieri puliti nello scola piatti e li portò in camera insieme ad un apri bottiglie. Ripresero a vedere il film, stavolta ininterrottamente fino alla fine.




Ottaviano ruppe il silenzio che li vedeva sospesi nel metabolizzare l’epilogo di quella storia posando il suo bicchiere di vetro sul marmo del pavimento, generando poi lo stesso suono col bicchiere che liberò dalla morbida presa di Angela. Il computer era ancora sulle gambe di lei; una volta spentolo, l’unica luce che illuminava la stanza era quella del lampione che da fuori, si affacciava dentro a spiare il loro abbraccio. Si addormentavano spesso così, con la testa di lei appoggiata alla spalla di lui che le cingeva il capo col suo braccio e le accarezzava lentamente i capelli fino al momento in cui il suo dormiveglia non sfociava nell’addormentamento. Le mani di lei sulla sua guancia, per non smentire quell’ossessione che aveva di mantenere vivo un contatto.



Si addormentarono entrambi ed a tratti riaprivano gli occhi, come turbati ognuno dai pensieri che incessantemente ronzavano nella testa dell’altro. Passarono qualche ora a sussurrare brevi considerazioni maturate nei lunghi momenti che intercorrevano tra un sussurro e l’altro. A notte inoltrata, stufi di quel rigirarsi senza riuscire a prender sonno, sollevate le teste dai cuscini, si misero a sedere per affrontare l’ultimo dei discorsi emersi.


​​Angela finì per non riuscire più a tenere la testa dritta e si addormentò con la testa ai piedi del letto, raggomitolata come era solita fare, con un cuscino tra le gambe ed un braccio piegato sotto alla testa.


Ottaviano prese una coperta mezza spiegata in fondo al letto e gliela mise sul busto, tornando ad infilarsi sotto al piumino. Poche ore dopo suonò la sveglia, senza far troppo rumore si rivestì, lasciando ad Angela l’incomodo di mettere a posto i bicchieri pur di non svegliarla.

Prese posto accanto a lei, sul bordo del letto, le posò una mano sulla spalla, si chinò per darle un bacio sulla guancia mentre assonnata apriva gli occhi, e se ne andò, con la sua valigia in mano, richiudendo silenziosamente la porta dietro di sé.


Comentarios


© Virginia Barchi. Proudly created with Wix.com
 

  • Instagram Basic Black
  • Tumblr nero tondo
bottom of page